martedì 11 agosto 2009

Enterprise

Nessuno mi crederà mai e forse risulterò pazzo, dissennato o banalmente fuori di testa ma giuro di essere stato rapito dagli alieni e portato via per almeno due ore.
Stavo quasi per addormentarmi, avevo avuto una giornata densa e quella giornata faceva parte, devo ammetterlo, di una settimana piuttosto piena. Quella settimana faceva parte di un periodo di cambiamento di punti di vista, di riferimenti nuovi e di una velocità così furibonda, da aver coinvolto almeno gli ultimi quattro mesi della mia vita. Insomma durante l’ultimo anno e mezzo, forse due, mi ero un po’ dovuto arrendere ad uno stato di stress continuo che mi aveva dato sin da subito l’impressione che non mi avrebbe mollato fino al resto dei prossimi dieci anni.
Quella sera avevo parlato, guardato intensamente la donna che avevo davanti, ascoltato un po’ di musica fino a quando, come due birilli che cadono sotto il colpo di uno strike, c’eravamo addormentati, lei per prima, sul tappeto, il centro geometrico e cardiaco della mia casa. Io l’avevo seguita, fra le braccia di Morfeo, come per continuare ad ascoltare la musica che nel frattempo era finita, come per terminare il dialogo che nel frattempo era stato esaurito dalla stanchezza, come per continuare ad avere davanti i suoi occhi, belli come due foglie di limone guardate contro la luce del sole. Ero rimasto colpito da alcune sue osservazioni che mi avevano ancora di più fatto concentrare sulla sua bellezza. Aveva parlato di come aveva osservato un’età in cui i bambini sembrano dei piccoli fenomeni. Lasciano esprimere una genialità intuitiva ma subito dopo quel breve periodo, tutta questa forma di crescita esponenziale, si stabilizza. Io, con la sua voce in circolo nella mia linfa, mi ero addormentato, come dopo l’iniezione di un miorilassante che, iniziando magicamente a fare effetto, ti dà la sensazione di farti perdere in un’eco lontana.
Una scossa e mi ero sentito prelevare da un essere né verde né grigio, né maschio, né femmina. Un’entità mi aveva asportato dal tappeto centro della mia casa e mi aveva delicatamente depositato su un giaciglio futuristico che non aveva qualcosa di materico da poter essere descritto come un letto o una chase longue di grandissime dimensioni. In ogni caso, mi aveva fatto sentire leggero come sdraiato su un vuoto morbido e comodo. Aveva poi iniziato ad usare i suoi arti, le sue mani aliene, degli organi insomma, dotati di una grandiosa motilità, facendoli scivolare sul mio corpo. Lo aveva però prima cosparso di uno strano gel che aveva reso fluorescente l’intera superficie della mia pelle.
Così in pochi minuti ero diventato un essere dalla luminescenza azzurrina che emanava luce e irradiava un leggero calore come dopo una giornata di mare.
L’astronave sulla quale ero stato trasferito era stata preparata per accogliere cavie del genere umano. Le pareti volevano somigliare al legno. Sopra queste ultime erano state dipinte delle figure geometriche che riportavano alla mente simboli di una civiltà extra planetaria. In quella stanza, in quello stato di galleggiamento durante il quale, uno per volta, gli organi e gli apparati del mio organismo, erano stati pervasi da onde di piacere e io mi sentivo stranamente a mio agio. Quel alieno, ma probabilmente era una Aliena sembrava voler riprodurre le migliori e più intense emozioni in me e, di sicuro, stava sondando la mia attività elettrica, portandola ai massimi coefficienti in modo da poterla misurare attraverso i suoi stranissimi strumenti di materia organica sconosciuta.
Quella non era la solita astronave, di quelle dove vengono portati tutti, fatta di pulsanti e lucine colorate. Era invece una specie di bozzolo, un involucro che non doveva essere stato progettato per viaggiare fisicamente, piuttosto per fare dei lunghissimi balzi avanti e indietro nel tempo e nello spazio, dando la minima sensazione possibile di spostamento.
L’Aliena mi aveva poi inglobato in sé con un movimento che aveva cambiato interamente la sua forma, una sorta di pachidermica fellatio che si stava occupando dell’intera superficie e volume del mio corpo. Tutto quello strano fagocitare, l’ingollamento, lo sfregamento, il risucchio fra i due corpi, solo uno dei quali visibili, il mio, aveva generato una serie di stimolazioni, titillamenti, emozioni, oblio e una così repentina perdita di ragione che era partita un’erezione proprio nel momento in cui la mia mente aveva per un attimo dato spazio all’idea che quella fosse una espressione femminile del creato. Un’Aliena quindi capace di generare un inverosimile e alieno piacere di quelli mai provati. L’Aliena aveva poi proseguito con la sussione di qualche sostanza invisibile dal mio corpo passando come da punti specifici fra le varie parti dell’organismo. Dall’ombelico alla fossetta della gola, dal capezzolo destro all’incavo dell’ascella sinistra, dalla bocca al pene, facendo esattamente quello che avrei fatto io con una donna calda sdraiata di fianco a me. Proprio il pene, raggiunto per ultimo aveva rilasciato un getto di sperma il quale aveva fluttuato nel vuoto circostante e si era dissolto come vapore lasciando solo un residuo di una luce danzante e brillante.
Poi, di colpo, ero stato riportato sulla terra, ricomposto come un corpo senza vita e riconsegnato al mio tappeto presente al centro di ogni mondo materiale, stremato, nudo come un nudista nella spiaggia sbagliata. Mi ero poi ripreso da quello choc e avevo riaperto gradualmente gli occhi.
Di fianco a me, la donna con la quale stavo parlando prima di essere rapito, dormiva più nuda di me, più bella di prima, quando stavo ancora osservando le sue forme ma ero invece distratto dai suoi occhi. Ebbi il sospetto che fosse stata rapita anche lei da un’astronave simile alla mia ma non trovai indizi che confermassero la mia ipotesi.
Avrei voluto svegliarla per assicurarmi che fosse davvero viva come sembrava, che si sentisse bene come diceva la sua espressione ma la lasciai dormire facendo finta di non essere attratto dalla visione della sua nudità e della sua magnifica e aurea pelle.
Si svegliò da sola dopo pochi minuti dall’inizio della mia osservazione, aprì gli occhi solo a metà constatando che un viaggio in una qualche parte dell’universo l’aveva fatta sobbalzare, tremare, sudare e forse anche godere. Fu lei a guardarmi per un attimo negli occhi e a dirmi:

- Hai presente l’abbandono?-
- Ho presente, ma ora sei qui -
- Ho avuto paura di essere abbandonata nelle braccia di un alieno -
- Io avevo paura che quel alieno ti tenesse con sé -
- Invece non mi ha voluta -
- Certe forme di fortuna mi fanno venire fame -
- A me la sensazione di non essere abbandonata mi fa venire voglia di dormire -
- Non devi far altro che chiudere gli occhi -
- Sì ma per ora lascia accesa la luce, capitano e mangia qualcosa -
- Ricevuto, Enterprise... -

lunedì 3 agosto 2009

Le solite cazzate

Eccoci alle solite, la partenza, come quando inizi un tango, che cosa fai? Apri a sinistra e via con l'improvvisazione. No, stavolta no, stavolta si apre a destra e si marca subito un giro.
Questa nuova partenza conterrà una novità, certo, oltre al viaggiare su una poltrona più comoda, oltre a viaggiare verso oriente al posto della solita Buenos Aires si viaggia per una felicità da non perdere mai più. Sai quando ti senti felice, da un momento all'altro succede un casino, lo puoi sopportare giusto perchè non sei in riserva, ti secca un pò ma ce la fai, ma succede, sempre, l'agguato non si nasconde mai troppo a lungo, non si tiene mai in scarse retrovie. E va bene, che ci stia, che faccia il suo solito scherzetto di merda ma c'è qualcosa di nuovo, qualcosa che lo schiaccerà, lo ridicolizzerà, lo neutralizzerà... indovinate cos'è? E non dite le solite cazzate!!!!

lunedì 22 giugno 2009

Mia

Quella vacanza di quasi una settimana aveva portato una folata di passione dopo un periodo di intenso lavoro e, passati quei giorni, io e Mia avremmo deciso di sposarci.

Eravamo andati a trascorrere il nostro lunghissimo week end in un luogo sperduto fra le montagne ai confini con la Francia.

La sera del nostro arrivo avevamo saltato la cena per far durare più a lungo la nostra sessione d'amore. Lo avevamo desiderato per molto tempo, ci eravamo avvolti fra le coperte e, respirando l'odore dei nostri corpi pronti, avevamo indugiato a lungo nel far sentire il massimo piacere all'altro usando tutte le parti del corpo, soprattutto la lingua.

Io l'avevo leccata morbidamente, avevo approfittato della sua marmorea schiena, lucida per l'eccitamento e per il calore.

Lei aveva fatto scorrere delicatamente le sue labbra sul mio pene per poi usare le dita, leggermente bagnate con la sua saliva, per disegnare dei minuscoli cerchi in un punto che conosceva bene e sapeva esattamente come stimolare: una piccola area compresa fra la divisione del glande e la zona di congiunzione con il resto del pene.

Poi ero sceso io fra la separazione delle sue natiche, un punto per lei di incontrollabile efficacia erogena. Più giù c'era il centro del suo sesso e tutto trovava una destinazione fra quelle labbra un po' gonfie, morbidissime, già bagnate solo dopo il primo bacio.

Infine era toccato a lei salirmi sopra mentre stavo seduto su un angolo del lettone, puntati i piedi dietro di me aveva iniziato a far oscillare il suo bacino a destra e a sinistra, avanti e indietro in una serie di movimenti quasi ipnotici gemendo e ridendo in modo alternato. Mostrandomi sfacciatamente i suoi piccoli ma incredibili seni mi domandava, senza dire parole di non smettere di baciarla ovunque.

Il suo odore forte, il corpo perfetto e lucido, la poca luce presente, il suo pube finemente rifinito, il silenzio fatto per accentuare il suo respiro timido, le labbra aperte per scoprire appena un linea di denti non perfetti ma sexy, gli occhi chiusi, il mio membro spinto fino in fondo alla sua pancia per via della posizione, l’amore che provavo per il suo modo di essere e per la vera donna che avevo sopra di me, mi eccitarono così tanto che spinsi più forte per scatenare il suo orgasmo un attimo prima del mio e per godere del suo lungo venire concedendomi quella meravigliosa libertà solo qualche istante dopo.

Mi lasciai andare all’indietro a braccia aperte e afferrai il materasso con le mani e tutto il mio corpo si tese per gli ultimi istanti lasciando andare le ultime contrazioni. Lei scoppiò a ridere come senza motivo e come per manifestare al sua felicità, la sua fedeltà, la soddisfazione ma anche qualcosa che forse che non poteva essere descritto da alcuna parola conosciuta. Riaprì gli occhi come dopo aver dormito un giorno intero e spostò indietro i suoi capelli. Era bellissima, luminosa, si stava asciugando il sudore del viso e del collo usando il dorso di entrambe le mani. Era rimasta con lo sguardo rivolto verso il soffitto come per visualizzare le ultime immagini di quella scopata perfetta.

Poi ci eravamo addormentati come due piccoli animali, fratelli, abbondantemente nutriti.

Il mattino seguente, la colazione, era venuta a farla su di me, ancora nuda, svegliandomi con una serie di porcellerie alle quali feci resistenza se non altro distratto dalla fame, dal bisogno di svegliarmi davvero e dalla voglia di bere un lunghissimo caffé.

Uscimmo, camminammo all’aria aperta chiacchierando del più e del meno, del come era venuto il sesso insieme all’amore la sera prima, in attesa di un argomento più importante come la voglia di organizzare il nostro matrimonio.

“Non credi che per suggellare davvero la nostra voglia di sposarci ci dovrebbe prima essere un’iniziazione?” disse guardandomi i piedi che si muovevano nelle infradito brasiliane.

La guardai come per cercare il vero senso della sua frase. Era ancora più bella e ancora più attraente del giorno prima. Le presi il volto, gli occhi azzurri erano incorniciati in minuscole fiammelle marroni che arrivavano fino alle pupille. La bocca era un essere a sé con una vita propria, una proporzione, una spavalderia ma contemporaneamente un qualcosa di bambino che richiedeva baci innocenti e al contempo una mancanza di pudore che metteva quasi in imbarazzo. Non solo, c’erano dei momenti in cui avrei rinunciato a tutto, mi sarei fatto legare le mani e il resto del corpo a una sedia pur di guardare le sue labbra bagnate avvolgere il mio pene eretto e deformarsi per poterlo contenere nel modo più erotico possibile. Lei questo lo sapeva.

“Cosa intendi dire?” dissi io.

“Una prova d’amore no? Cosa credi, di potermi avere totalmente senza dover sostenere una prova iniziatica?” rispose prima di darmi un bacio umido sulla bocca.

“Ehi frena, una prova del genere la si fa in due! Chi sei tu per gestire unilateralmente questa legge?”

Si mise a ridere, si legò i capelli in una coda bionda e mi guardò dal basso verso l’alto come per accentuare uno sguardo innocente e disse:

“Ok ma non siamo banali. Facciamo che al posto di resistere l’uno e l’altro a una tentazione, a quella tentazione cediamo e la prova consiste nella capacità di perdonare, quindi di non abbandonare...” Mi osservava incuriosita.

Ebbi un sussulto che divise a metà il mio corpo, in due la mia mente poi uno squarcio nel mio intero essere. Una parte si era ingelosita ad un livello superiore a qualsiasi altra occasione già sperimentata producendo uno strano fuoco. L’altra parte si era eccitata all’idea ma quell’eccitazione era stata rispedita al mittente senza dare modo a nessuno di miei “io” impazziti di poterla osservare se non per una frazione di secondo. Poi via, tutto svanito in una memoria convulsamente cancellata.

“Cosa mi stai per poporre? Piccolo diavoletto?”

“Semplice, ti do un vantaggio, scegli una donna che ci stia e fai un po’di sesso con lei.”

Feci una pausa per tentare di credere a qualcosa che la mia mente si rifiutava di credere.

“Ah, semplice vero? Lo sai che non ce la farei mai, io sono innamorato di te, non vedo altra donna e non ne ho mai vista una. Non credo che mi sarà molto utile questa iniziazione visto che non farò nessuno sforzo” dissi con atteggiamento doppio e falsamente incurante.

“Non hai capito, non deve poter essere inutile a te ma a me, devi farlo per me. L’iniziazione sarà il perdonarti non il tuo rinunciare a divertirti.” Disse mostrando sicurezza.

“Tu non mi perdoneresti mai, rimarrebbe tutto nella tua memoria. Ti conosco, ora dici tutto con una naturalezza che depista ma convince ma sono sicuro che al momento della sua realizzazione tutto sarebbe diverso. Come nelle fantasie erotiche no?”

“Ci sono in qualche modo hai ragione ma questa situazione è particolare, capita mentre tutto fila liscio e tutto è bello come un sogno. Possiamo raggranellare una lucidità che ci permette di vedere che è solo sesso. Se aspettiamo un altro momento il perdono sarà ciò che di più difficile c’è da affrontare.” Rispose come se avesse già pensato tempo prima alle risposte.

“Intendi dire che comunque io dovrei stare in camera mentre tu ti stai facendo il tuo bel rito iniziatico? Sdraiato sul letto o alla finestra, ammirando il tramonto mentre dalla stanza adiacente arrivano i tuoi gemiti? No, credo che diventerei pazzo...” dissi aggrottando le sopracciglia.

“Ok, se provi a non pensarlo come il mio bel rito iniziatico, è questo che potrebbe rendere perfetta la situazione, ma, ancora di più, credo che dovremmo esserci entrambi in ognuno dei due riti. Tu perdoni me, io perdono te e siamo vaccinati e pronti per accettare completamente l’altro, le sue virtù le sue magagne, i suoi vizi, i lati luminosi e anche quelli oscuri, allora qualcosa in noi sarà migliore.” Parlava come una donna esperta, densa, colorata, e dolce.

“Certo il tuo ragionamento è ineccepibile e fila dritto anche se sul rush finale glissa inequivocabilmente il cuore.”

“Non è vero...” Disse prendendomi le mani fra le sue e continuando qualche secondo dopo.

“...è un atto d’amore, Più del perdonare cosa vuoi mettere in atto in quel atto? É un’azione, la non richiesta per eccellenza. È la donazione più alta che puoi fare. Lo fai e ne esci come un vero uomo che “ama” e una vera donna che “ama” no? Amare è o non è un atto?”

“Certo, una vaccinazione contro la gelosia, efficace come la puntura del soldato ma proprio perchè è così efficace non rischi un tale febbrone da lesionarti per sempre le cellule del cervello, e non rinsavire mai più?” dissi io con una faccia speranzosa.

“E’ ovvio che sia un rischio. Io però vorrei correrlo.”

Dicendo così mi si avvicinò e posizionandosi frontalmente spinse la sua testa bionda al centro del mio petto, roteandola come un animale che sta cercando di effondere qualcosa di incomprensibile agli uomini. Mia era così, aveva un piccolo animale feroce al suo interno, ancora cucciolo ma nato per ruggire, dotato di una zampa pericolosa, di una dentatura già affilata e una temibile e amabile muscolatura. Io ero la sua carne, il suo quarto da spolpare una preda più lenta, da inseguire e fare a brandelli, io dotato più di resistenza che non di uno scatto, dotato più di un amore pachidermico che non di un avido morso velenoso. Più elefante che serpente.

Ed era per questo che non potevamo che vivere nella stessa foresta, dando senso uno all’altro, chiudendo lo stesso ecosistema, riproducendoci reciprocamente, l’uno nello spirito dell’altro. Eravamo diversi, interdipendenti, rispettosi del proprio regno, curiosi e bisognosi del regno dell’altro.

Sentivo nella mia anima che lei aveva ragione e quello che mi aveva proposto aveva senso. Al contempo sentivo anche un pericolo di proporzioni gigantesche nel dover espandere ulteriormente il mio già enorme amore. Ma sentivo anche che ormai non poteva essere trascurato, ne avevamo preso coscienza e il non attuare quel rito avrebbe creato una piccola falla nel sistema. Forse quel tema era emerso proprio dal nostro essere pronti, bello o brutto, trascurabile o inevitabile che fosse.

Ritornammo a fare l’amore e fu più forte di ogni altra volta. Mia mi stringeva e voleva che spingessi per entrare ancora di più in lei e al contempo come se mi penetrasse a sua volta. Io invece manifestavo la mia passione avvolgendola, senza lasciare che nessun centimetro quadrato della sua pelle perdesse il contatto con me.

Dopo aver urlato per il suo orgasmo ne procurò uno a me usando la bocca, tenendosi in equilibrio afferrando i miei polsi che contratti la sostenevano. Il mio sperma si riversò in parte su di me e in parte sulle sue labbra, mi guardò sorridendo, come soddisfatta delle sue capacità e appagata per la quantità di seme estratto dal mio corpo. Strisciò su di me fino ad trovarsi a un millimetro dal mio viso come per sfidarmi a baciarla e condividere il frutto della sua arte segreta. Io mi sporsi verso di lei e la baciai mentre rimaneva immobile a occhi chiusi in una delle estasi che da sempre procurava a entrambi: il migliore fra tutti gli stati di presenza totale. Ci addormentammo di nuovo, ognuno dei due con lo stesso sapore nella bocca.

Ci svegliammo che era ormai pomeriggio e dopo una nuotata nella piscina sotterranea dell’hotel, decidemmo di infilarci nella sauna per completare il rilassamento tanto desiderato nei giorni duri delle settimane precedenti.

Il locale della sauna era piuttosto grande e aveva sedili su tre piani. In un angolo c’era una coppia che sembrava stesse dormendo. Erano sdraiati ad angolo con la testa rivolta nella stessa direzione e un asciugamano bianco sotto il corpo. Lei indossava un costume a due pezzi. Lui aveva una salvietta che gli copriva la parte centrale. In un terzo piano dall’altro lato una donna non giovanissima con un costume intero un po’ retrò sembrava la tipica attaccabottoni delle hall degli alberghi di villeggiatura.

Mia sembrava rilassata e stanca per la nuotata e si sdraiò sulla mia stessa panca appoggiando la testa sulle mie gambe e allungando un braccio all’indietro e appoggiando la sua mano sulla mia gamba coperta dalla salvietta bianca. Poi come irrequieta si sedette, si slacciò il reggiseno del costume, lo tolse e si riposizionò come prima coprendosi con il telino bianco al limite dei capezzoli induriti dai brividi di calore. Poi stirandosi allungò verso dietro la sua mano sinistra e la appoggiò sul mio sesso strofinando il dorso senza farsi vedere. Muovendosi lasciò scoprire i suoi bottoni turgidi e le sue perfette colline furono un panorama irresistibile. Il calore e la situazione intrigante stimolarono la mia erezione. Chiusi gli occhi.
Mia si alzò, abbandonò l’asciugamano e andò a sedersi dietro di me, sul sedile di sopra. Iniziò a massaggiarmi il collo completamente bagnato di sudore poi passò con le sue mani madide sulla parte anteriore del mio corpo, scoprì il mio pene che non ci mise che un attimo a diventare un “cazzo” in tutta regola e iniziò a masturbarmi con entrambe le mani che in quel momento, data la mia forte erezione, sembravano più piccole. Faceva partire un leggerissimo graffio da sotto per poi terminare con un micro massaggio della punta usando il pollice. Il mio corpo iniziava a tendersi soprattutto nella zona addominale. La luce scura della sauna aiutava le fantasie, l’erotismo visivo dei corpi tesi, la caduta delle barriere di pudore. Quando aprii gli occhi, i due ragazzi che prima sembravano addormentati si stavano baciando. Sentii il tonfo della porta d’ingresso che si chiudeva, la signora doveva essersi scandalizzata ed era andata via. Contemporaneamente si senti un clic, come se se si fosse spento il termostato del riscaldamento.
Mia si alzò in piedi e fece cadere ogni tipo di copertura del suo corpo sfilandosi anche la parte inferiore del costumino bianco. Appoggiò la schiena contro la parete di legno di fronte a me e stando sulle punte dei piedi aprì le gambe e prese in mano i suoi glutei allargandoli e massaggiandoli come per prepararli a una penetrazione. Fece dei fili di saliva appendendoli tra le labbra e le dita meravigliosamente affusolate. Ne fece uscire poi con la lingua una quantità che lasciò scivolare sulla pancia e da li un sottile rigagnolo raggiunse il centro del suo sesso. Era talmente bella che i due sconosciuti avevano smesso di baciarsi per guardarla e iniziare a masturbarsi eccitati dalla stessa eccitazione di lei.
Il mio pene aveva completato il suo gonfiarsi e lo avevo trovato involontariamente fra le mani che ci scivolavano sopra come per mantenere vigorosa l’erezione e prepararlo alla bocca di Mia che da un momento all’altro l’avrebbe insalivato alla perfezione. Mia comunicava con gli occhi, non smetteva di guardarmi prima negli occhi poi il mio sesso pulsante e scuro.
Ma mi sbagliavo, la mia donna aveva solleticato le fantasie della ragazza straniera che le si era inchinata davanti e aveva iniziato col regalarle la lingua partendo dalle dita dei piedi per poi salire fino su, transitando dall’interno del ginocchio. Mia l’aveva poi presa per i capelli e l’aveva direzionata fra le labbra della sua fica aperta e aveva approfittato dell’eccitazione della tipa e del suo uomo per dominarla. Mise uno dei suoi piedi sulla schiena della ragazza mora e guardò a lungo il suo uomo mentre si masturbava lentamente.
A un tratto l’idea che aspettavo sin da qualche ora si materializzò: Mia prese l’amica le tolse il costume e la trascinò fino a farla sedere su di me. La ragazza cercò una posizione comoda, scivolandomi addosso e lasciò che la mia ragazza spingesse il mio cazzo dentro di lei. Aveva un seno piuttosto voluminoso, i capezzoli sporgenti e rosa, nemmeno un pelo su tutto il corpo e la temperatura delle sue natiche appoggiate al mio bacino era altissima. Io le lasciai giocare offrendo la mia erezione e loro ne approfittarono a lungo. Mia, di tanto in tanto, estraeva il mio membro dall’interno della sconosciuta, lo leccava avidamente come se fosse più suo che mio e, ogni volta, dalla pancia della straniera, usciva un secreto che si riversava abbondantemente sul mio pube e sul mio addome. Tenni gli occhi chiusi per qualche istante per concentrarmi sul mio orgasmo impellente e quando li riaprii, Mia aveva assunto una posizione comoda per accettare il cazzo dello straniero che la stava penetrando da dietro colpendola ripetutamente e facendola sobbalzare. Il tipo aveva dei tratti squadrati ed era piuttosto muscoloso, aveva le mani piuttosto grandi ed erano posizionate sui fianchi della mia donna e la stringeva e la colpiva con un certa insistenza. Mia teneva gli occhi chiusi, la bocca semi aperta e con le mani si teneva ferme le piccole tette che altrimenti avrebbero seguito gli scossoni del resto del corpo forse facendosi male. La sua amica stava avendo un orgasmo e rimbalzava sopra di me come una dissennata facendo degli strani versi a metà strada tra un lamento e un respiro forzato. Anche Mia aveva iniziato a gemere più forte ed ora era lui che la teneva per i seni con quelle grosse mani lucide che sembravano non accontentarsi di fermarsi in un solo punto del corpo. La prese da sotto le natiche e le sollevò le gambe in aria tenendola come se volesse indurla a un pissing sul corpo della sua donna. Mia venne e la tipa sopra di me pure, mentre cercava di avvicinarsi con la lingua alla carne che dilatava la bellissima vagina della mia donna la quale dopo essere stata liberata da quel membro indelicato si era lasciata andare in una caldissima pioggia dorata bagnando me e la donna sconosciuta che stava facendomi venire sulla sua stessa pancia usando entrambe le mani.
La fica di Mia non smetteva di contrarsi e dilatarsi per il forte orgasmo e la forte eccitazione. Il suo respiro era ancora accelerato, la dilatazione dei polmoni metteva in risalto il petto e le due punte scure che non accennavano a rilassarsi. Ancora ansimante venne a sedersi vicino a me e si rannicchiò come per essere protetta o coccolata. Avevo visto due donne in pochi secondi. L’una nell’altra come un gioco magico di incastri. L’una manifestata dall’altra. L’una sostenuta dall’altra. La prima nutrita dalla seconda.
Non vi era colpa quindi nessun perdono, nessun allontanamento, nessuna mancanza, niente di troppo, niente di meno, niente di filosofico, niente di teorico, nulla di materiale, nulla di fisico. In quel mondo c’era solo lei, la perfezione del suo essere, la bellezza del suo volto di luce, la sua ricerca reattiva, la sperimentazione del giocare con la sua vita, le sue iniziazioni, la sua consapevolezza grande o piccola che fosse.
Stanchissimi dell’esperimento appena terminato, eravamo andati sotto una doccia a media temperatura e ci eravamo lavati. Mentre lasciavo scivolare via dalla mia pelle gli umori poco prima rilasciati dalla donna sconosciuta, mi soffermai a pensare che se fossero appartenuti a Mia non avrei di certo cercato di lavarli via. Forse nemmeno lei avrebbe tolto dalla sua pancia lo sperma dell’uomo senza nessun nome.
Guardai intensamente e molto a lungo la donna che avevo davanti. Era bella, libera, disinvolta, ma sembrava le mancasse qualcosa. Aveva una perfezione che veniva confermata da questa mancanza. Un infantilismo dal quale non si sarebbe liberata se non in un tempo lontano dal presente...
La mia mente aveva già deciso di essere adulto, aperto, senza schemi definibili, ma più la osservavo, più qualcosa di più interno della mia mente decideva per me in un secondo senso, in una specie di lato oscuro della luna. Il mio cuore si retraeva, indipendente dal mio comando. Mi sentivo un cocchiere che non riusciva più a dare comandi ai cavalli della carrozza. Quei cavalli avevano preso il loro ritmo e le frustate non servivano a niente. Erano loro a trascinare tutto il sistema e la nuova direzione era sotto la loro volontà. Avevo sbagliato biada, avevo dato loro da bere un’acqua pazza. Insomma il governo fino a quel momento stabilito dalla mia mente, erta saltato, puff, completamente in balia delle emozioni. Più la guardavo più il bene per Mia si trasformava in una sorta di dolce ingrediente sostituibile, mi entrava la dolcezza, la tenerezza, riconoscevo la sua bellezza, vedevo chiaro il suo essere sperimentatore ma non vedevo più quel qualcosa di non definibile che fino a quel momento mi aveva nutrito, fatto innamorare, fatto emozionare, trasportato in un paradiso senza conoscerne i motivi, un trasporto inspiegabile, un amore di viscere in movimento, una passione senza ragione, priva di razionalità ma assolutamente viva e immortale.

(fine della prima parte)


domenica 14 giugno 2009

Non c'e' spina senza rosa

Ci eravamo conosciuti all'ingresso di un concerto mai avvenuto, rinviato la sera stessa per pioggia. Gia' questo era come aver messo un timbro sul nostro incontro. Lei parlava piu' per il non sapere cosa dire che non per il vero voler comunicare qualcosa. Io rispondevo piu' per il fastidio che provavo nel silenzio che non perche' avevo qualcosa da voler condividere. Ad ascoltarci bene pero' c'era piu' comunicazione in quella modalita' che non in una recita di cose importanti. Il gioco era facile, bastava stare li' come pescatori pazienti, aspettare il pesce affamato, la trota sacrificale, la "parola stonata", il "termine magico" che rivelava non l'essenza della frase ma l'essenza dell'anima di ognuno dei due, una parola, un universo.
Parlando e bagnandoci eravamo fniti sui gradini di un piccolo portone. Era l'ingresso di una vecchissima piscina ormai chiusa per via dell'orario. Avevamo fantasticato di entrarci e fare una nuotata al buio ma poi lei aveva cambiato idea.
Quale posto migliore, avevo pensato io intendendo i gradini. Eravamo vicini a un bacino d'acqua, la vescica di quella sconosciuta citta'. C'era acqua da tutte le parti e le emozioni avrebbero volato nelle nuvole nere.
Ci eravamo protetti sotto quel portone ma la pioggia arrivava lo stesso e alla fine lei aveva il lato destro piu' bagnato del sinstro. Il mio lato sinistro invece era quasi zuppo per averle fatto spazio cercando di non farla bagnare.
Mi ero gurdato l'indice della mano destra perche' nel muovere il vecchio portone di legno avevo infilzato una scheggia che non voleva piu' essere estratta. Lei mi aveva guardato la mano, poi gli occhi e aveva fatto una faccia seria. Era buio ma si vedeva la sua espressione curiosa.
Poi eravamo rimasti in silenzio per almeno tre quarti d'ora a guardare le luci delle auto in transito. In quel silenzio non era cambiato poi molto, non si puo' dire che fosse peggiorata la comunicazione, anzi si era innescata una tale e stramba trasmissione di pensiero, che per almeno tre volte, in quel tempo sconosciuto, ci eravamo girati di scatto l'uno verso l'altro come per aver sentito un pensiero coincidente passare scavalcando i nostri corpi.
Improvvisamente aveva ripreso la parola come ricordando una scena di una vita precedente e guardando immobile in quel fantasioso vuoto. Continuando a fissare le luci in movimento aveva esordito dicendo:
"Hai mai sentito della leggenda della spina che entra dalla mano e viaggia fino al cuore?"
"No" era la mia unica sillaba possibile ma avrei voluto dare mille altre risposte.
-No- voleva pero' dire: "Ma quanto mi piace la tua voce e il tuo disordine, il tuo lato destro bagnato la tua mano destra da tango argentino, le tue scarpe di diverso colore per via della pioggia laterale. E il tuo occhio destro piu' aperto del sinistro? E quei termini magici che chissa' dove li vai a pescare..."
-No- era uno dei pesciolini sacri, una delle "parole magiche" e lei lo aveva sentito al cento per cento nel brivido che la stata percorrendo.
"Dice che se ti entra una spina nel dito non esce dal dito?... Entra nel cuore... e questo vuol dire che fa un lungo viaggio, incredibile ma consapevole. Sa precisamente dove andare. Passa attravero il braccio, va nella spalla, attraversa il torace e sceglie il cuore come destinazione finale!"
"Forse il cuore si comporta come un puntaspilli... e' progettato per attrarre le cose appuntite: una spada, una freccia, un proiettile, un dolore, un amore..." dissi io.
"Magari la spada, la spina, la scheggia, hanno la funzione di svegliare il tuo cuore, pungendolo." ribadi' lei gurdando la mia mano bagnata.
"Gia', il cuore se non vine punto da qualcosa che sta a meta' tra il dolore e il pacere, sembra non accontentarsi di pulsare e basta... il battito e' solo un'attesa." Lo pensai e lo dissi.
"Quante spine hanno raggiunto il tuo cuore di uomo?"
"Mille milioni... e il tuo di donna?"
"Nemmeno una."
"Allora la leggenda di cortile non ha alcun senso. Oppure non ha mai stretto il gambo di una rosa... fino a farti sanguinare la mano?"
"Mi sono sempre concentrata, ho strizzato gli occhi, ho premuto la lingua sul palato, ho immaginato che una piccola schiera di "Guardiani Cardiaci" vestiti di rosso, bloccassero il suo passaggio. Poi ho immerso le mani nell'acqua calda, salata, per via dell'osmosi, e via, uscita da dove entrata."
"Perche' lo hai fatto?"
"Non volevo provare un dolore che mi sono sempre immaginata."
"Immaginandolo che ne sai di quello che provoca la puntura di una spina?"
"So benissimo che e' piu' forte l'immagnazione che non il vero dolore..." disse lei guardandosi i piedi.
"Per l'appunto, allora perche' non ti togli il dubbio? Il vero dolore sara' piu' sopportabile e forse piu' interessante."
"Forse perche' per uno strano incantesimo l'organizzazione dei miei organi sembra saltata. E con loro i miei pensieri."
"Cosa vuoi dire?"
"Voglio dire che nessuna spina ha raggiunto il mio cuore ma ha raggiunto altri organi, forse sbagliati, forse no, forse ha viaggiato piu' del previsto. Voglio dire che molti baci non li ho dati con la bocca ma con gl occhi e le mani, altri con la mente. Voglio dire che ogni volta che dovevo dire -mi fai male- non ho usto la bocca ma il mio viso, le spalle, la nuca, i capelli. Voglio dire che la prima volta in cui ho avuto un vero pensiero "Certo e Creativo", stavo stringendomi le ginocchia, premendo le mani, e se mollavo spariva tutto. Quando ho deciso l'ho fatto con l'intestino ma anche con il mio sesso, quando ho fatto l'amore ho usato il cervello, i corpi sottili, il soffio, i suoni, il pensiero, lo spazio, la luce, il buio, il bacino, l'anima. Quando ho detto "si'" oppure "no" ho usato il mio stomaco... e spesso il dubbio della mia mente, un urlo, un silenzio, deglutivo..."
"Intendi dire che non hai sempre usato lo strumento appropriato? o hai usato piu di quello che si rendeva necessario?
"Forse voglio dire che in ogni cosa ho sempre cercato di danzarci dentro."
Si era alzata, era andara in mezzo alla strada. Non passavano macchine e non sembrava ne stessero arrivando. Aveva iniziato col dimenarsi completamente scoordinata ma sembrava che una musica l'avesse rapita dall'interno come un demone. Si muoveva come per fare un esorcismo. Poi era caduta, io mi ero allarmato, schizzato in piedi per soccorrerla ma lei ad occi chiusi aveva fatto segno di lasciarla fare aprendo le cinque dita di una mano e rivolgendomela contro.
Poi, di colpo, qualcosa era uscito, l'aveva abbandonata, il disordine aveva iniziato a cessare e lei aveva preso a muoversi con una tale leggerezza che avrebbe potuto staccarsi dall'asfalto bagnato. Aveva aperto le braccia e iniziato a ruotare compiendo evoluzioni con mani e braccia. Sembravano disegni densi aderenti al suo piccolo corpo.
Era diventata una danza sacra, sembrava un derviscio, una specie di luce filiforme si era accesa al centro di quell'essere ruotante. Poi le era passata un'auto cosi' vicina da farmi scattare in piedi una seconda volta.
I miei occhi erano rapiti da quelle forme e da quella visione.
Poi altre auto la evitavano passandole vicinissime rallentavano come per poter ammirarla.
All'improvviso si era accasciata al suolo come svenuta. Mi ero avvicinato per soccorrerla e riportarla al portone...
"Come ti senti?"
"Vorrei provare un'altra spina se fosse possibile..."
Aveva gli occhi chiusi e sembrava stesse sognando.

martedì 9 giugno 2009

tus ojos

Non me ne vado per viaggiare lontano, non per scoprire universi già in mano.
Non vado via così solo per distrarmi, per lavoro, per noia o per riposarmi.
Non mi allontano per trovare un amore, per trovar me stesso o per un nuovo errore.
Neanche per imparare le cose più nuove, per fare esperienze di vita là altrove.
Vado e misuro la mia eternità, per millimetrare ciò che perderei qua.
Vedere in che posto è giunta la barca, per poi simulare un ubiquo monarca
di tutti quegli "io" per farmi calmare, e nel mio reame rigovernare.
Stare a vedere riprendere fiato fotografandomi dopo arrivato.
Sono questi giorni in cui manca un mio suono, in cui l'abbandono si mixa al perdono.
Giorni dove senza fede non si respira nemmeno, giorni senza un amore e senza un veleno.
Senza né turbolenza fra i finestrini, senza vento ma dubbio e urli bambini.
Parto e mi allontano per scorgere l'oggetto, del desiderio prima agli occhi e poi al petto.
Due occhi che al mondo dovrebbero dare un piccolo senso senza tempo aspettare.

venerdì 15 maggio 2009

Elettroni

Immaginati due mani che per almeno per tre motivi non ti possono toccare.

Niente malattie, niente gelosie, niente moralismi ma elettricità, sì sono gli elettroni i responsabili del divieto. Si propagano come tra i fili di una batteria carica che non puoi fare andare in corto circuito, come dalla nuvola al campo di grano, come dalla presa sotto al mobile fino al tubo catodico del televisore in cucina.

Due mani che però ti salvano, ti rimontano i pezzi smontati, ti ricollegano i fili scollegati, riavvitano i bulloni smollati della tua fragile esistenza. Come le mani di un mago bianco che ti ridanno “alito” se per una incantesimo lo avessi perso. Come le mani di un prestigiatore che creano l’illusione della magia e fanno apparire ciò che non c’era. Una magia che non conosci e la vedi come una incredula illusione.
Un po’ come quando balli il tango, non sai come, non sai perchè e non prevedi quando ma se succede ti lascia lì, svitato, illuso, ridicolo, seminudo, messo su come un robot rimontato senza senso da un bambino che sperimenta le prime volte la terza dimensione. Lui avvita e poi guarda il risultato. Come messo sul lettino di un tiraossa che ti spedisce a casa con un’altra sensazione di te.

Ed ecco che sei nuovo, diverso, nelle mani di qualcuno che c’è nella tua vita ma come le sue mani non può avvicinarsi. Come in un abbraccio tanguero che non porta a niente ma solo alla fine della musica e poi via, il nulla, l’etere, il vuoto, forse un ciao senza soffermarsi ad ascoltare il prodotto di quei pochi minuti. Tutto ciò che rimane è solo sensazione, vibrazione, elettricità, salvezza, benessere o malessere ma è uguale. O felicità.

Quelle mani hanno un nome che non vuole essere posseduto, che vorrebbe essere cambiato, hanno una vita maga che vorrebbe andare in altri luoghi maghi ma ti respirano a pochi centimetri di distanza senza spostarsi, giusto quella distanza sufficiente a cambiare qualcosa in te. Hanno un odore che forse vorrebbe avere un’altra chimica.

Ancora qualche nota un tango e poi via, ancora qualche elettrone, una scossa e poi via, ognuno nelle vite proprie senza più nessun collegamento. Non un motivo astrologico, fatalistico, animico, a rimanere... nessun motivo di conoscersi
Eppure gli occhi ci sono, non mentono, loro guardano, sfuggono e velocemente ritornano da dove sono venuti. Il tango è già finito. L’abbraccio già scollegato.

mercoledì 13 maggio 2009

Cosa fai?

Lui: -Dimmi… tutta questa gente vestita di plastica cosa pensi che voglia?
Lei: -È solo una festa, ognuno ha il diritto credo…no?
Lui: -La mia è solo una domanda diretta. Vorrei il tuo parere, tutto qui.
Lei: -Quando hai collezionato il mio parere, cosa ne fai?
Lui: -Lo imbusto per inviarlo al Corriere dei Piccoli…
Lei: -Secondo me meglio il Resto del Carlino.
Lui: -Ah, e perché?
Lei: -Ma quante domande fai?
Lui: -Sono curioso se ti infastidisco vado a rompere le scatole a qualcun altro…
Lei: -Che approccio bizzarro…
Lui: -Dici?, forse hai ragione.
Lei: -Volevo solo chiederti quante domande fai ogni volta che conosci qualcuno…
Lui: -Non amo ballare il tango o fumare, allora cerco impressioni nel dialogo.
Lei: -Nel domandare vuoi dire?
Lui. -E’ necessario, quando non conosco nessuno. Credo sia tutta timidezza.
Lei: -Una specie di Marlowe al contrario.
Lui: -Sono uno che cerca riferimenti. A volte però ho delle lacune di empatia.
Lei: -Offrimi da bere.
Lui: -Venga principessa.
Lei: -Cosa fai, lo scrittore?
Lui: -Dipingo sulla seta.
Lei: -Ma ci vedi bene?
Lui: -Perché?
Lei: -No niente, hai gli occhialetti da scrittore.
Lui: -E tu?
Lei: -Guido un camion.
Lui: -Un camion!?
Lei: -Sì.
Lui: -Ma non hai i bicipiti da camionista!
Lei: -Che significa?
Lui: -Significa che non si direbbe, dalla tua morfologia.
Lei: -Un altro maschilista…
Lui: -Un maschilista con l’aria da scrittore che lavora sulla seta, ne sei sicura?
Lei: -Scusami, stasera sono scontrosa e intrattabile, mi chiedo perché insisti.
Lui: -Ok posso andarmene.
Lei: -Aspetta… Chi conosci qui?
Lui: -Nessuno e tu?
Lei: -Solo il festeggiato.
Lui: -Beh quello anch’io.
Lei: -Come fai a conoscerlo?
Lui: -Eravamo insieme…
Lei: -Non dirmi che…
Lui. -Che cosa, prima maschilista ora gay?
Lei: -Nulla. Come ti chiami?
Lui: -Evil e tu?
Lei: -Andrea.
Lui: -Un nome, un lavoro, un carattere… Che altro?
Lei: -Non voglio parlare di me.
Lui: -Allora mancano le domande…
Lei: -Insieme dove?
Lui: -Insieme a New York l’11 settembre.
Lei: -Quindi tu sei quello che…?
Lui: -Esattamente.
Lei: -Cosa ci facevi in quell’inferno di città?
Lui: -Scrivevo.
Lei: -Quindi scrivi davvero ma non lo vuoi dire.
Lui: -Diciamo che scrivo e leggo. Tutto da solo.
Lei: -Già, gli altri non contano.
Lui: -Scrivo per me e rispondo alle mie domande.
Lei: -Tutto in casa. Indipendenza, ego,…poi?
Lui: -Non sono molto socievole, anzi piuttosto orso.
Lei: -Da come ti stai comportando con me, non si direbbe.
Lui: -E nemmeno molto coerente.
Lei: -Un ammasso di difetti…E cosa scrivevi?
Lui: -La storia di un poeta giapponese.
Lei: -A New York?
Lui: -Già. Conosci gli haiku?
Lei: -No.
Lui: -“In questo mondo, frenesia, anche nella vita della farfalla”
Lei: -Oddio…è finita?
Lui: -Sì.
Lei: -Perché hai scelto proprio quella sulla frenesia?
Lui: -Perché mi piace e tu mi fai venire in mente una farfalla.
Lei: -E cosa c’entra la frenesia?
Lui: -E’ solo una osservazione del poeta.
Lei: -Tu stai alludendo.
Lui: -A cosa?
Lei: -Al mio carattere.
Lui: -Ma no, ho solo scelto un haiku a caso.
Lei: -Tu mi vuoi provocare.
Lui: -No, ti dico, ma che cavolo ti prende.
Lei: -Niente, solo che quando conosco qualcuno, capita sempre questo.
Lui: -Questo cosa?
Lei: -Mi giudica, mi scruta, mi incasella, enuncia i miei difetti. Frenetica, aggressiva, poco femminile…
Lui: -Scusami ma non è il mio caso. Tu mi piaci e non sto perdendo il rispetto.
Lei: -Ecco lo vedi, “tu mi piaci”, ma se mi hai incontrato da tre minuti…menti per cosa?
Lui: -Calmati…
Lei: -Ecco iniziano anche gli ordini. Dopo tre minuti.
Lui: -Per favore, se vuoi ti lascio in pace, ti chiedo scusa e tolgo il disturbo…
Lei: -Allora non hai nemmeno le palle per argomentare una tua difesa?
Lui: -Ma non voglio difendermi. E da cosa poi?
Lei: -Sei tu che hai prodotto questo risultato. Sei venuto tu a fare domande sulla gente, criticandola.
Lui: -Senti chiudiamola, ti chiedo perdono, se non va bene ti recito un'altra poesia però fine del gioco.
Lei: -Sentiamo come vorresti chiuderla?
Lui: -Lo faccio se interessa anche te.
Lei: -Si certo, mi interessa rimanere sola, qualcuno arriverà a parlarmi. Ma quanto sei insensibile?
Lui: -Allora: non voglio mollarti così, ma le tue reazioni sono troppo forti.
Lei: -Menti. Non vedi l’ora di sbarazzarti di me ma non trovi una scusa sufficiente.
Lui: -Certo non è piacevole dialogare in questo modo. Non volevo assolutamente ferirti.
Lei: -Lo so, lo so, dai trova una scusa e vattene da qualcuna più mansueta… e meno colpevole.
Lui: -…?
Lei: -Così potrai recitare poesie, vantarti della tua cultura, delle tue azioni eroiche newyorkesi. Senza problemi.
Lui. -Ma… Cosa fai?
Lei: -Lasciami stare.
Lui: -Stai piangendo?
Lei: -No.
Lui: -Vieni, usciamo sul terrazzo, devi respirare.
Lei: -No.
Lui: -Cosa ti è successo?
Lei. -Niente.
Lui: -Parla, starai meglio.
Lei: -Non ce la faccio.
Lui: -Liberati!
Lei: -Non ce l’ho fatta.
Lui: -Non è un problema, ora sei qui, New York è passata.
Lei: -E’ colpa mia.
Lui: -Non ci pensare più. Tu non potevi farlo.
Lei: -Dovevo riuscirci, ma ho pensato prima a me.
Lui: -Io ci sono riuscito perché ho avuto fortuna ma non il merito.
Lei: -L’hai salvato? Ecco allora tra me e te c’è una differenza.
Lui: -E’ morta troppa gente per fare una somma algebrica tra chi ce l’ha fatta e chi no.
Lei: -Ma io non riesco a perdonarmelo.
Lui: -Serve ancora un po’ di tempo. Resta qui, ora sei qui, è passato un anno e ottomila chilometri.
Lei: -Non basterà un decennio a perdonarmi.
Lui: -Ora piangi e poi calmati. Fregatene del trucco.
Lei: -Mi manca la mia mamma…
Lui: -Manca anche a me. Ma lo vedi che questi giochi sono troppo duri?
Lei: -Pensavo fosse utile ad allontanarmi da quell’Andrea che odio.
Lui: -Non è rimasta che la memoria, di quello che eri. Dai torniamo a casa…
Lei: -Perché hai scelto di dipingere sulla seta?
Lui: -La prima cosa che mi è venuta in mente guardando quell’orrenda tappezzeria. E la camionista?
Lei: -Mi sentivo assente come un marito camionista…
Lui: -Che stupidaggine, tu sei qui, resta qui…abbracciami.
Lei: -Non abbandonarmi mai.
Lui: -Sono qui con te…
Lei: -Ti amo.